Il manifesto di Spilimbergo

La diversità ci rende in grado di confrontarsi, ognuno ne trae una lezione. 

Così la competizione pone due atleti o squadre di fronte e dal confronto c’è chi vince e chi invece può ancora imparare dal suo risultato. Senza il confronto non ci sarebbe né vincitore, né elaborazione. Questo però vale per il confronto sportivo, ma quando parliamo di Arte Marziale come la mettiamo? 

In quel caso non esiste un vincitore, quanto un insieme di qualità che convergono, che non possono sfociare in un podio. C’è di più che la supposta efficacia della azione, perché forse a quel punto sono più “semplici” le tecniche di autodifesa di discipline più recenti. Questa panoramica non vuole assolutamente essere una classifica, perché a quel punto avremmo la degenerazione del confronto, suggerendo che nel confronto i migliori siamo noi sminuendo le altre esperienze. Questa è presunzione. La mia affermazione va in direzione opposta, affermando che non siamo i migliori, ma che di certo siamo diversi. 

Siamo partiti con l’idea di costruire una strada e nel tempo ci siamo accorti che è -anche- una strada faticosa, ma allo stesso tempo diversa, condividendo magari degli aspetti, delle caratteristiche, ma comunque percorrendo una nostra via, o Do, se preferite. Cosa che è possibile constatare in piccole sfumature che sono come le spezie, danno un sapore diverso. 

L’ altro pomeriggio a Spilimbergo mi sono imbattuto in un manifesto della FiJIKAM (organo ufficiale del CONI per quanto riguarda il Karate sportivo e Sport da combattimento), un manifesto che mi ha davvero colpito per intelligenza e sensibilità. Una cintura nera che faceva il saluto a una simpatica bambina compiaciuta. Una pubblicità arguta, la prima devo dire, che promuova l’autodifesa nei presupposti sacrosanti del rispetto della dignità e della propria autostima, piuttosto che dei ridondati e biechi manifesti che fanno leva sulla paura e sulla violenza subita dalle donne. In questo caso la raffinatezza dell’immagina dice tutto. 

Mi sono soffermato soddisfatto a guardarla e mi sono venute alla mente due cose. La prima, quando spiego il concetto di saluto nel nostro dojo; non un riconoscimento dell’autorità rappresentata dal maestro (autorità= timore) quanto un reciproco riconoscersi e rispettarsi, dove il saluto diviene: io saluto e rispetto voi e voi lo stesso con me, autorevolezza= accettazione attiva e partecipata. 

La seconda, quando chiedo soprattutto ai bambini, qual è la prima cosa che hanno imparato nel dojo, ogni tanto qualcuno con la schiettezza che è tipica loro dice: il saluto. Questa risposta io la traduco in rispetto. Non imparano un concetto, bensì lo mettono in pratica. Il difficile non è farlo in palestra, quanto poi esportarlo nella vita, perché salutare significa riconoscere anche le persone al di fuori del dojo, riconoscere e farsi conoscere, guardare negli occhi e rendersi vivi in questo atto, divenendo coscienti di una propria dimensione, di un valore intrinseco e unico. Così questa bella immagine mi ha parlato. Prima della difesa, prima della tecnica, prima della medaglia… c’è la persona e dal lì può davvero partire tutto.