KARATE: LA VIA DELLA MANO VUOTA

BREVE STORIA DEL KARATE

“IL KARATE COMINCIA E FINISCE CON IL SALUTO”

(G. Funakoshi – Dojo Khun)

La storia del Karate-dō è innanzitutto quella di una tradizione culturale, perché si tratta di un’arte sviluppatasi nel tempo, che ha visto come protagonisti non solo nazioni e imperi, ma anche popoli, culture e substrati di culture molto diversi fra loro. Inoltre tutti questi elementi vanno incorniciati nella cultura giapponese, più precisamente quella che, per comodità di valutazione, si protrae dall’era Tokugawa fino al XX secolo. In aggiunta a questa valutazione socio-culturale il Karate-dō subisce verso la fine del XX secolo una forte spinta verso il lato sportivo. Sotto l’influsso della notorietà globale, a partire dalla fine degli del 1970, il Karate-dō “scopre” un lato più occidentale: le competizioni agonistiche.

Tutti questi elementi hanno influenzato l’attuale stato dell’arte della mano vuota. Obiettivo di questo breve trattato è quello di fornire una panoramica sul Karate-dō, in termini evolutivi, alcune indicazioni di carattere tecnico e sulle modalità di trasmissione dell’arte stessa. Nel primo caso si tratterà di avere quelle informazioni essenziali per capire quali sono le radici ed il percorso che quest’arte orientale ha intrapreso. Nel secondo aspetto si analizzerà il carattere tecnico e la metodologia di insegnamento.

Soke Funakoshi Gichin

Soke Funakoshi Gichin

Con questo intervento tengo a sottolineare la mia tesi di fondo: ovvero che è impossibile, a meno di non voler ingannare, separare l’aspetto socio-culturale e filosofico, alla base e a supporto di quest’arte, dall’aspetto esercizio tecnico-fisico.
E’ proprio a questa ragione che risulta corretto e coerente parlare di Karate-dō, invece che di solo Karate.

EVOLUZIONE

Il Karate-dō moderno, come lo conosciamo oggi, è un’arte marziale giapponese che trae le sue origini dalla Cina. Si tratta di un’arte del combattimento che si pratica principalmente a mani nude ed include l’uso di mani e piedi. Molto genericamente le tecniche si possono suddividere in: tecniche di attacco e tecniche di difesa.

Le tecniche di attacco vengono principalmente eseguite tramite colpi con pugno e con piede. A queste si aggiungono colpi portati a mano aperta, colpi di testa, di gomito, e colpi di ginocchio.
Le tecniche di difesa, come le parate e e le schivate, di diverso tipo, sono state elaborate in risposta ai diversi tipi di attacco. Accanto alle tecniche di parata e schivata abbiamo anche tecniche di leva, immobilizzazione e di proiezione.
A seconda dei diversi stili esistono anche delle integrazioni tecniche rispetto a quanto sopra brevemente descritto. Alcuni stili affiancano alla pratica a mani nude anche la pratica con l’uso di armi. Altri stili, invece, prediligono un maggiore studio di tecniche di leva, controllo o proiezione.
Tuttavia “(…) il vero Karate-dō non è una semplice arte del combattimento. Il suo primo obiettivo è forgiare il corpo e lo spirito (…) gli adepti del Karate-dō devono riflettere sul senso di queste due massime:

L’arte del pugno è quella di un saggio” (kunshi-no-ken) e

Il Karate non comincia con un attacco” (Karate-ni-sente-nashi) (…)”

Come si vede, quindi, il Karate include non solo la ricerca dell’efficacia nel combattimento, ma anche l’etica di un modo di vivere che, fin dalle sue origini più nipponiche, si è sviluppata in un ambiente spirituale legato al buddismo ed allo zen.

La parola Karate significa “mano vuota”. In questa parola troviamo due significati, uno tecnico ed uno filosofico, poiché questo “vuoto” va inteso nell’accezione buddistica del termine.
L’adozione del termine Karate risale agli anni del 1930, infatti il nome antico era “to de” cioè “la mano (te o de) della Cina (to)”.

Tuttavia l’ideogramma “to” si pronuncia anche “kara” quindi l’uso del termine “kara” aveva un doppio senso, in quanto il suono di “kara” in giapponese ha anche il senso di “vuoto” ma per scriverlo si usa un kanji diverso. Così all’inizio del XX secolo si è iniziato ad impiegare questa pronuncia e la trasformazione:

da “to de” 唐手 – “mano della Cina” –> a “kara te” 空手 “mano vuota”.

Il cambio da “to” a “kara”, dunque, sottosta a due fondamentali ragioni:
1) Il significato di “kara” come “vuoto” acquisisce e fornisce all’arte una maggiore profondità in termini buddisti e zen
2) Il termine “to” inteso come “mano cinese” si sposava male con il nazionalismo giapponese presente nella società agli inizi del XX secolo.

Karate Do

Karate Do

SHORIN O SHOREI?

Il Karate moderno può definirsi tale grazie all’opera di codifica ed organizzazione operata dal M° Gichin Funakoshi (bio), durante il primo ventennio del ‘900. Tuttavia già prima di Funakoshi ci sono state diverse scuole di karate, che venivano indicate secondo la città di provenienza degli stili. Tra le principali troviamo: Naha, Tomari e Shuri, città nell’arcipelago delle isole di Okinawa. Da queste città derivarono i rispettivi nomi degli stili di combattimento: Naha Te, Tomari Te e Shuri Te (“la mano di  Naha” e così via). Nasce così, nell’arcipelago delle Ryu Kyu il termine To de (“tecnica cinese”).

Tomari è il porto di Naha, una realtà nella quale convergevano le esperienze di marinai e commercianti. Qui i combattimenti andavano dalla rissa alla battaglia contro i pirati. Lo stile del “Tomari-te” fu influenzato da quello praticato nella vicina cittadina di Shuri (precisamente grazie al M° Sokon Matsumura).

Shuri, invece, è il castello di Naha, che ospitava i re, i nobili e tutto il loro seguito. La pratica delle arti di combattimento, per questo tipo di classi, era certamente più un dovere professionale e di casta che una vera e propria necessità.

Una nota interessante sulla genesi degli stili, come oggi vengono definiti di area “shorin o shorei”, riguarda la traduzione del termine cinese Shaolin, il famoso tempio cinese dove veniva studiato l’arte di combattimento dello Shaolinquan.

Shaolin nel dialetto di Shuri e Tomari, viene pronunciato con Shorin, mentre nel dialetto di Naha viene detto Shorei. Durante il XIX secolo si prese l’abitudine, dunque, a chiamare Shorin-Ryū gli stili simili, nati a Shuri e Tomari. Mentre si iniziò a definire Shorei-Ryū quelli nati a Naha, ma è evidente che entrambi si rifanno alla stessa fonte cinese.

Gli eventi storici raccontano che dallo Shuri-te e Tomari-te deriveranno lo Shorin-Ryū che influenzerà lo Shito Ryū, lo Shotokan e il Wadō-Ryū.

Nella città di Naha, invece, si praticava il Naha-te, da cui si svilupperà lo Shorei-Ryū e, successivamente il Goju-Ryū e l’Uechi-Ryū.

I principali stili di Karate, così come sono giunti ai giorni nostri, con le evoluzioni storiche correlate, provenienti direttamente da queste tre città, vengono così classificati:

  • Shotokan
  • Wadō Ryū
  • Shito Ryū
Area Shorin (Shuri e Tomari)
  • Goju Ryū
Area Shorei (Naha)

L’impronta di Funakoshi nell’uso del concetto di “Dō

Come detto, il M° Gichin Funakoshi è considerato il padre del Karate-dō moderno. Infatti è stato proprio lo sforzo del M° Gichin Funakoshi ad aggiungere al termine “karate” il suffisso “Dō”, donando, così, all’arte un aspetto più profondo e spirituale. L’intento di Funakoshi era quello di portare il karate allo stesso valore di altre nobili Arti Marziali Giapponesi, tra le quali, la più nobile di tutte, l’arte della spada.

Va precisato che il metodo di insegnamento protratto da Funakoshi venne adottato dal suo Maestro, Anko Itosu.

Anko Itosu

Nato nel 1830, egli fu allievo diretto di Sokon Matsumura da cui ci è giunta la tradizione dello Shuri-te. Agli inizi del XX secolo Itosu riesce a far adottare dall’ispettorato dell’istruzione pubblica di Okinawa il Karate come attività per l’educazione fisica nelle scuole pubbliche.

Anko Itosu

Anko Itosu

Itosu pertanto inizia la diffusione del Karate-dō integrandolo con il sistema educativo scolastico. Lo stesso mezzo attraverso il quale, successivamente, anche Funakoshi utilizzerà per la diffusione del Karate-dō nella Honshū giapponese (l’isola principale). In questa integrazione, Anko Itosu, ha apportato varie correzioni al Karate-dō “classico” per renderlo più accessibile ad un pubblico numeroso. Prima di Itosu, infatti, il Karate-dō era una pratica dove il maestro seguiva pochi allievi alla volta.

Attraverso un sistema ispirato ai metodi di formazione dei soldati occidentali (metodo che i giapponesi avevano importato dall’Europa), il nuovo sistema permetteva di formare più persone contemporaneamente, gridando per ogni gesto da eseguire (metodo innovativo rispetto all’insegnamento tradizionale).

A questo metodo si aggiunse, poi, anche l’apertura all’insegnamento di queste antiche tecniche, spesso segrete, anche a non giapponesi o a membri estranei alla famiglia originaria del maestro.

Evoluzione non involuzione e, ancor meno, digressione.

Nella sua evoluzione storica, e soprattutto nell’accelerazione che ha subito, un elemento molto importante è stata l’apertura del Giappone al mondo Occidentale. Questo evento è stato epocale per una nazione chiusa come quella nipponica, che si è vista confrontarsi ed entrare in contatto con un mondo variegato e molto diverso da quello semi feudale dell’epoca.

Fra i vari maestri che hanno sviluppato il karate-do partendo dal “traghettatore” Gichin Funakoshi, troviamo il M° Hironori Otsuka I il quale interpretò in modo evolutivo lo stile del suo maestro Funakoshi. Lo stile che Otsuka creò non venne però “legato” da schemi troppo stretti, ma venne reso il più fluido e libero possibile affinché si potesse evolvere liberamente. Questo perchè il Wado Ryu è mosso, alla sua base, da solidi principi grazie ai quali la tecnica può cambiare, modificarsi rispetto al praticante e/o adattarsi a seconda delle condizioni di pratica.

L’interpretazione rimane fondamentale e sa da una parte rischia di snaturare l’origine, dall’altra è segno di evoluzione, di crescita e di confronto col mondo che cambia. In questa prospettiva, lo stile di karate è stato condizionato (e tutt’oggi continua ad esserlo) anche dalla natura agonistico-sportiva assunta dal karate negli ultimi decenni. Un’esasperazione di poche tecniche che pongono la velocità d’esecuzione al vertice assieme all’aspetto coreografico del kata.

La prospettiva sportiva ha fatto nascere dissapori e divisioni fra due principali orientamenti: uno esclusivamente agonistico-sportivo e uno ultra-ortodosso. Queste divisioni hanno segnato anche gli ulteriori orientamenti delle varie associazioni nazionali ed internazionali condizionando metodo, tecniche e filosofia di insegnamento.

Di certo il Karate-dō tradizionale con i suoi vari stili, anche se in evoluzione, rimane distante da quelli che sono chiamati “sport da combattimento” ove si sviluppa coraggio e agonismo. Nel Karate-dō rimangono centrali il rispetto e la disciplina intesi come elementi formativi dell’individuo, quindi con obiettivi pedagogici prima che agonistici.

Quindi sarà proprio l’associazione (e di conseguenza dal dojo) in cui l’allievo oggi inizia la pratica ad influenzarne il tipo di Karate-dō praticato. Egli sarà sottoposto ad un insegnamento che può essere più orientato ad un lato sportivo o a quello tradizionale.

Dipenderà dalla capacità e dalla lungimiranza del singolo Maestro avere il giusto senso di equilibrio … ma anche questo è Karate-dō.