Cosa Facciamo | Il karate 2

Dopo aver parlato dei bambini più piccoli è necessario affrontare il gruppo che spesso è il più nutrito in termini di numeri e allo stesso tempo il più eterogeneo.

 

Karate e bambini dai 7 ai 12 anni. Un ventaglio d’età che più numeroso si presenta , più complessa diviene la sua gestione, poiché un bambino di sette anni non ha le necessità di un quasi adolescente di dodici. Anche qui in soccorso ci vengono delle parole chiave semplici e coincise che si aggiungono a quelle elencate nella prima parte di questi scritti. Parliamo d’impegno, responsabilità e rispetto.

 

I ragazzini di questo gruppo cambiano le proporzioni degli allenamenti. Il gioco rimane centrale, ma viene diminuito, il tempo di allenamento passa da quarantacinque minuti ad un’ora, il tempo dedicato alla tecnica viene aumentato. Si chiede un impegno personale che tende ad un risultato migliore sia in termini di sollecitazioni atletiche che tecniche. Certi esercizi sono inseriti come di routine, mi riferisco allo streching, la coordinazione non viene veicolata in modo esclusivo dal gioco, ma anche dall’esercizio tecnico. Si inizia ad usare le tecniche assimilate per cui si rende necessario introdurre in maniera estremamente concreta e coerente il significato di rispetto e controllo.

 

Il rispetto non passa dal solo buongiorno, ma dal considerare l’altro una risorsa preziosa, uno specchio. Da solo rischio l’autocompiacimento, aiutato da un amico diventa continua evoluzione.

I colpi/ tecniche sono senza anima, ma comunque possono creare danni, per cui il concetto di limite viene rafforzato: tecniche in un luogo solo (la palestra) non al di fuori di essa.

 

La responsabilità. Quello che facciamo non è una garanzia, bensì una potenzialità, siamo un coefficiente, credo di qualità, che moltiplica quello che il ragazzino decide di mettere in gioco. Se sono un 1000 per le qualità che ho, ma le moltiplico per 0 il risultato sarà 0 non 1000, per cui il concetto di responsabilità/ scelta, diviene centrale. Chi lo interiorizza inizia da subito un mutamento che nel giro di poco darà risultati visibili, ma soprattutto può diventare paradigma di quanto gia faccia nella vita, dando concretezza all’idea che: se mi impegno posso diventare, scelgo io di farlo o non farlo.

 

I ragazzi sono diversi e la loro diversità viene usata a beneficio degli altri. Ci sono alcuni di loro bravi nei calci, altri nei kata o nei kumitè. Queste piccole eccellenze vengono messe in circolo tramite la responsabilità: se tu sei bravo, aiuta chi lo è meno a migliorare. In tal modo otterremo due risultati: una comunicazione più efficacie tra pari e la crescita di autostima in chi si sperimenta ad insegnare.

 

Il ruolo del maestro è quello di tenere la rotta e di fare interagire queste ricchezze sempre presenti.

 

Anche in questo contesto le gare sono una libera scelta, un passaggio utile, ma non indispensabile. I ragazzini scelgono e se lo fanno, seguono un percorso ad hoc per migliorare il loro approccio allo stile di Karate praticato. Ogni tanto si simulano delle gare, i potenziali agonisti si mettono alla prova, in tal modo gli allievi che guardano imparano anche con gli occhi dando consigli positivi (cosa si potrebbe migliorare) a ciò che vedono, il Maestro apporta le necessarie e opportune modifiche dopo aver ascoltato i vari consigli. Perché questo macchinoso processo? Molto semplice, perché chi entra da noi diventa soggetto e non oggetto di un processo di crescita, nulla viene tolto alla responsabilità del maestro, ma questi deve far girare la palla se non mira ad una struttura chiusa.

 

In sintesi, il corso diventa la necessaria maturazione di quanto è stato sviluppato in quello precedente dei più piccoli e base solida per entrare nell’ultima parte dei corsi , quella dei ragazzi e adulti.